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  SCUOLA elementare e d’avviamento      di LAGO nel Novecento

 

 La Scuola Statale “E. Scanga” di Avviamento Industriale     era ubicata dove oggi c’è la Caserma dei Carabinieri ed ebbe inizio nell’anno scolastico 1932-33  e rimase attiva  fino al 1963-64.

• La “Scuola Media Statale” ebbe inizio il 1° ottobre 1963 e si chiamava la
“ Prima Media Sperimentale”. L’edificio dell’attuale “Scuola Media” fu costruito negl’anni ’70 dall’Amministrazione Comunale di Lago (Sindaco Prof. Carmelo Cupelli) ed il 1° ottobre 1976 ospitò il primo gruppo di studenti. L’edificio è dotato di palestra, sala mensa con annessa cucina, auditorium, infermeria, archivio, uffici della presidenza e della segreteria, sala proiezioni, sala di educazione artistica, biblioteca, e sala osservazioni scientifiche. Dall’anno scolastico 1996-97 la “Scuola Media Statale “ di Lago è stata aggregata a quella di Belmonte.

Presidi laghitani:
Prof. Carmelo Cupelli fu Preside della Scuola d’Avviamento dall’anno scolastico 1950-51
fino al 1956-57 e dal 1959-60 al 1962-63
Prof. Francesco Maione fu Preside della Scuola Media Statale di Lago durante l’anno
scolastico 1975-76.

         Testimonianze di alcuni paesani raccolte dal Prof. Francesco Giordano      

Francesco Mazzuca (classe 1919)
“Abitavo con la mia famiglia nel Paese, all’ingresso dell’attuale Corso Battisti.
Ho frequentato la prima elementare con l’insegnante don Antonio Orazio Pellegrini, in un’aula situata accanto al frantoio della famiglia Pelusi (‘Nibbuli’), in località Margi.
Ho frequentato la seconda elementare con l’insegnante Adalgisa De Grazia (Donna Gisa) in un’aula sita presso l’attuale abitazione della famiglia Salvati, sempre a Margi.
Ho frequentato la terza elementare con l’insegnante donna Filomena Scanga (‘a Maestra Vecchia’) in un’aula situata presso il frantoio di proprietà della stessa Maestra.
Ho frequentato la quarta elementare con donna Rosetta Le Piane, e la scuola era ubicata nell’attuale postazione della Guardia medica di Piazza Matteotti. Ricordo che l’edificio scolastico era stato già costruito.
Ricordo che don Salvatore Caruso faceva scuola in una delle camere della casa della famiglia Maiorca in prossimità dell’attuale piazza Cristo Re.
Ho un ricordo molto particolare: il giovane maestro don Raffaele Amendola, che insegnava nella contrada Piscopie, un giorno mi chiese in prestito il mio orologio per poter controllare gli orari del suo servizio. Oltre alla scuola dovevo badare anche ad imparare un mestiere.
I miei maestri falegnami sono stati Francesco Muti, Pasquale Spina, Luigi Procopio e Giovanni Sesti.
Nelle aule che ho frequentato mancavano l’acqua, i servizi igienici e il riscaldamento, ma ricordo che esse erano fornite della luce elettrica, arrivata nel nostro Paese verso l’anno 1928. Pochi quaderni, pennino e l’inchiostro nel calamaio.
Dopo la guerra d’Africa (1936), i maestri Michele Belsito e Giovanni Palermo iniziarono a insegnare.
Ho fatto la seconda guerra mondiale, dal 1940 al 1946: Francia, Jugoslavia, Tunisia, prigionia per circa tre anni e mezzo. Nel 1954 sono stato costretto dalla necessità ad emigrare a Caracas (Venezuela), da dove sono rientrato a Lago nel 1974.”

(Nota dell’autore: i primi maestri di Lago all’inizio del 1900 erano don Ottavio Turchi, don Giuseppe Turchi, don Gennaro Coscarella, donna Emma Pelusi, donna Filomena Scanga, donna Saveria Barone, don Antonio Pellegrini, don Orazio Pellegrini e don Gabriele Magliocchi.)




Nicola De Luca (classe 1921)
“I miei maestri della scuola elementare sono stati don Antonio Orazio Pellegrini e donna Filomena Scanga. Ho iniziato la scuola a sette anni. La mia aula si trovava nell’ edificio dove oggi è ospitato l’ufficio della guardia medica. Ricordo che i miei maestri erano molto rigorosi nella disciplina e pretendevano il rispetto dentro e soprattutto fuori della scuola. La nostra compagna quotidiana non erano i pochi libri e i pochi quaderni in circolazione, ma la fame.”



Don Carlo Mazzotti (classe 1940)
“Ho frequentato la scuola elementare che si trovava nel palazzo Scanga, nel rione “Supra a terra”. I miei insegnanti sono stati: donna Elmira De Grazia (prima elementare), donna Vincenzina Scancati (seconda elementare), don Michele Belsito (terza, quarta e quinta elementare).
Ricordo che i miei maestri controllavano l’educazione, la pulizia personale ed erano molto pazienti ad insegnarci a leggere e a far di conto.
Dopo le elementari ho frequentato la Scuola di Avviamento che si trovava nell’edificio di piazza Matteotti, oggi destinati a caserma dei carabinieri e ad altri uffici pubblici. Tra gli insegnanti ricordo: il prof. Carmelo Cupelli, che era il direttore della Scuola, la signorina Salette Vozza, il professore Pietro Scanga, che era buono come una Pasqua e non si arrabbiava mai. La bidella della Scuola di avviamento era la signora Antonietta Runco, che noi chiamavamo ‘Ntonetta ‘a Pastera’ “.



Vittorio De Luca (‘e Cova’ )- classe 1942
“Ho frequentato la prima elementare con due maestre: donna Ida Platani e donna Margherita La Duca (in Spina). Le altre classi delle elementari le ho frequentate presso il palazzo Scanga con la maestra donna Amelia (Donna Melia) Greco in Posteraro. Dopo le elementari, ho frequentato la scuola media viaggiando con il pullman ad Amantea, andata e ritorno tutti i santi giorni. Ricordo che mia madre (Caruso Margherita, nata nel 1913 e scomparsa qualche settimana fa) mi diceva di aver frequentato fino alla terza elementare con la maestra donna Saveria ‘e Cucuzza. L’aula si trovava in via Pantanello, nella casa del compianto prof. Piluso Tarcisio.”



Francesco Giordano (‘Ciccu’)- classe 1945
“ Ho frequentato le prime quattro classi della scuola elementare con il maestro don Michele Belsito, nel palazzo Scanga. Nella quinta classe ho avuto come insegnante il professore Francesco Mario Maione perché nel frattempo, il professore Belsito si era sposato e trasferito a Cosenza. La scuola era stata spostata da palazzo Scanga all’edificio di proprietà De Grazia, in Corso Battisti.”



Francesco Gallo- classe 1943
“E scove lementari se truvavanu “Supra- a- Terra” e venianu quadiate cu casciuttelle chjine ‘e carvuni (“scardini”) ch’ i guagliuni purtavanu alla scova. ‘E mintianu sutta i vanchi ppe se quadiare i piadi mentre ‘e manu hacianu ‘e ruasuve.
I vanchi eranu luanghi, hatti ppe tri persune.
Ppe scrivare se usavadi nchiostru e pinna, a borsa da scova eradi ‘e cartune, cu na maniglia. Aviamu sulu dui quaderni, unu ppe lu talianu e n’avutru ppe la matematica.
Ne vestiamu cu nu sinale nivuru, nu colettu jancu e na nocca russa, eccussi e macchjie du nchiostru un se vidianu.
Ne castiavanu hacianducce nginucchjiare supra ciceri o hasuvi, e ne davanu rigate alle manu. Certe vote, ppe ne hare scialare, ne hacianu sentare u giurnale radiu intra a stanza du hiduciariu, don Michele Bersitu.”

 



   I miei ricordi di scuola      (prof. Francesco Giordano)
                                      


Nuove Scuole Elementari in via Leopoldo Falsetti

“Le Scuole elementari di Lago centro vennero accorpate e trasferite nell’attuale nuovo edificio nell’anno 1958/59. I lavori vennero effettuati da Michele Provenzano, padre del ragioniere Gino. La scuola elementare divenne autonoma, cioè con una propria Direzione didattica. Il primo direttore didattico fu Giovanni Lupi da San Pietro in Amantea (che aveva sposato una sorella di Carlo Caruso, padre di Fofò).
Negli anni precedenti, le scuole elementari di Lago dipendevano dalla Direzione didattica di Aiello Calabro. In Paese coordinava gli insegnanti elementari. Uno di questi ultimi con la qualifica di “Fiduciario”, ai miei tempi, era il maestro don Michele Belsito. Spesso di pomeriggio ci recavamo a casa sua per fare il giro delle case degli insegnanti ai quali portare per visione circolari ed avvisi. Il regalo consisteva in un quaderno o in un calendario o in un foglio di carta assorbente.
Le classi erano molto numerose: 30 – 35 alunni. Erano spesso composte secondo il sesso: maschili, femminili.



Punizioni corporali ed umiliazioni
Diffuso il ricorso alle punizioni corporali: “rigate”, schiaffi, “nozze” sulla testa (dolorosissime), “faccia al muro”, in ginocchio su chicchi di granturco o di riso.
Il mio Maestro (di cui conservo graditissima memoria) aveva sulla cattedra, accanto al registro delle presenze, una riga di castagno che chiamavamo “Ciccarella”. Se, ritornando a casa, comunicavamo ai nostri genitori di essere stati puniti, quasi sempre ricevevamo delle “botte” complementari. Erano tempi in cui, anche nelle famiglie, si seguiva l’antico precetto latino: “Se risparmi la verga, rovini il bambino”.
Il mio Maestro Belsito aveva ottenuto una collana di spago dalla quale pendeva un asino di legno: colui che non sapesse i compiti o risultasse impreparato era costretto ad indossarla. Il proba non era all’interno della classe: un giorno o l’altro, tutti diventavamo “ciucci”. Il problema, semmai, nasceva dal fatto che, dovendo andare a soddisfare i bisogni fisiologici, dovevamo attraversare le aule delle altre classi e sopportare le loro derisioni. Capitava che, a volte, ovviamente di nascosto, facevamo la pipì nella nostra aula, sperando che non arrivasse alla cattedra del Maestro. Allora, infatti, si usavano delle pedane, sia per i banchi che per la stessa cattedra.




Gli “scaldini”
Le aule erano sprovviste di riscaldamento. I servizi igienici erano riservati agli insegnanti e alle ragazze. Noi uomini ci svuotavamo a diretto contatto con Madre Natura, al “viale”.
D’inverno usavamo gli “scaldini”, ottenuti da recipienti di “landia”, opportunamente bucherellati come una “rusellara”. Quasi tutti avevamo i geloni alle mani.




La colazione
La colazione: castagne infornate, noci e fichi secchi, pane di granturco. Quei pochi compagni appartenenti a famiglie più agiate cominciavano ad usare il panino con la mortadella. Ricordo che, nel 1955/56, la “Ferrero” mise in commercio dei formaggini di cioccolato con le figurine della “Caccia grossa”. Non avendo la possibilità di acquistarli, a volte li rubavamo ai compagni più ricchi di noi: Mario Carusi, Pino Naccarato, Aldo Ciardullo. Una volta fui io il ladro e il maestro Belsito mi diede uno schiaffo dicendomi: “Il fatto che sei povero non ti autorizza ad essere ladro”. Alcuni compagni usavamo, per colazione, pane e sarde salate; quelli che venivano dalle campagne usavano colazioni più generose: pane fatto in casa, formaggio e salame. I dolci erano scarsi, molto scarsi.




Pennini e calamai
Le attuali penne biro non erano ancora usate. Usavamo l’inchiostro (che acquistavamo al negozio di Antonio Giordano, in piazza Cristo Re , detto “du Pizzutu”) e i pennini inseriti nell’apposito astuccio di legno. Per molti di noi era faticoso usare il pennino “a cavalletto”, necessario per scrivere le pagine di “bella scrittura”, necessarie a farci acquisire una bella calligrafia. Per asciugare l’inchiostro delle pagine dei quaderni usavamo la cenere e, per i più fortunati, i fogli di carta assorbente.






Insegnanti degli anni ‘50

Le insegnanti che ricordo: donna Lucia Salerno Caruso (che aveva fama di severità), donna Amelia Posteraro (nella foto) le pareti della cui aula erano adornate di rondini che facevano da corona alla scritta “Chi tardi arriva, male alloggia”, donna Felicetta Cupelli, donna Giovanna Turchi, donna Maria Maiorca, il prof. Mario Maione, il prof. Francesco Magliocco, che insegnava nella scuola di Margi–Bivio (poi prematuramente scomparso, e famoso per la sua discrezione e la sua passione per la caccia), donna Vincenzina Stancati, e altri forestieri dei quali non ricordo il nome, donna Rita Spina che insegnò per molti anni in un’aula del palazzo Scaramelli, la signorina Filomena De Pascale (Menuzza), il fratello Antonio, Rinaldo Naccarato, Giovanni Naccarato di Greci (detto “U prufessure ‘e l’uagliu”, perché si malignava che avesse conseguito qualche supplenza ingrassando la serra con l’olio…..), Aldo Magliocco, don Lino Posteraro (temuto per il suo ossessivo rispetto degli ordini e degli orari).
Molte delle maestre non erano originarie di Lago, ma erano venute a Lago per insegnare e a Lago erano rimaste definitivamente perché vi avevano trovato marito. I mariti delle maestre prendevano il “don”: don Mariano, don Pasquale, don Carlo, eccetera. Cosa strana: soltanto Colombo Magliocco, ufficiale postale, non acquisì il titolo onorifico di “don”.



• Mensa scolastica
Sempre a metà degli anni Cinquanta comparve la refezione nelle scuole elementari (attuale mensa scolastica) riservata agli alunni più poveri: pasta e fagioli, formaggio e una fetta di pane. Facevamo a gara per parteciparvi, anche se i nostri genitori non volevano, perché la partecipazione alla refezione doveva significare, nell’immaginario collettivo del tempo, povertà. E nessuno voleva essere considerato ufficialmente povero, anche se presso il Comune di teneva un elenco ufficiale dei poveri amministrato dalla beneficenza pubblica (ECA: Ente Comunale Assistenza, spesso utilizzato con faziosità politica).



• Il parroco don Federico Faraca.
E’ stato anche un grande educatore. La Parrocchia, per noi ragazzi, era l’universo: significava liturgia, sacramenti, processioni, ma anche calcio balilla, ping–pong, biliardo, calcio, escursioni in montagna e al mare (molti di noi videro il mare per la prima volta grazie a Lui), e anche cibo: gallette, formaggini, formaggio, pane e fagioli, latte in scatola, che provenivano dal popolo americano per il tramite della POA (‘Pontificia Opera Assistenza’). A volte rubavamo le gallette, le ostie non consacrate e il vino della Messa che erano custodite nella sagrestia della Chiesa di San Nicola. E poiché il sagrestano era mastru Ciccu ‘e Parma, noto bevitore, don Federico se la prendeva spesso con lui. Le gallette provocavano diarrea, ma non ce ne curavamo: bisognava riempire lo stomaco. I ragazzi giocavamo in vari modi: al calcio (con palloni di pezza), a soldi ( a cruce e testa, a vattimuru), a carte (briscola, a sette e mezzo, a tresette/i più grandi), alla ciglia, allu “hitu”, a soldi antichi, alla ciglia, alla staccia. Poiché di pomeriggio dovevamo andare ad imparare un mestiere presso un artigiano (“u mastru”), aspettavamo la domenica per divertirci e la partecipazione alla Messa o alle processioni o alle altre manifestazioni liturgiche era percepita come un fastidio da evitare. Don Federico, la domenica mattina, ci veniva a rastrellare per portarci in Chiesa, non curandosi dei nostri brontolii. D’altra parte, se non eravamo in ordine con questi adempimenti, niente gallette, niente calcio nella squadra parrocchiale e, più tardi, niente televisione.
L’accesso alla stanza che ospitava uno dei primi televisori giunti in Paese (gli altri erano quelli di Giacomo Cupelli o Jacuzzu, di don Pasqualino
Cupelli, sempre generoso ad accoglierci nella sua grande casa per farci vedere “Rin Tin Tin”) era controllato da Mastru Menotti Magliocchi, che era inflessibile e, così si diceva, ogni tanto prelevava qualche soldino dalle magre entrate. Don Federico, nei rapporti con noi, era di poche parole, nonostante che le sue prediche fossero molto lunghe. Ne avevamo timore e temevamo soprattutto le sue mani che ci apparivano enormi, oltre che pesanti. Le lezioni di catechismo erano sistematiche e spesso molto difficili per gran parte di noi anche a causa delle espressioni latine che dovevamo imparare a memoria.



La Scuola d’Avviamento Professionale

Scuola d’Avviamento Professionale in gita a Potame nel 1935
assieme al Parroco don Giovanni Posteraro ( “u Paracu viacchjiù” o ”e Luisa”) e
due professori dell’epoca ( quello col berretto è Giovanni Palermo o ‘e Grandina).
Il padre di Giovanni ‘e Grandina, Angelo, era istruttore per la meccanica.


 

Dall’anno scolastico 1963/64 in Italia è entrata in funzione la nuova scuola media, unica, formativa, orientativa e obbligatoria per tutti.

La situazione precedente a  questa riforma era la seguente: dopo le scuole elementari bisognava scegliere tra la frequenza della scuola media e la frequenza di una scuola di avviamento professionale. La prima non si trovava a Lago, era più costosa, più impegnativa (tra le altre materie si studiava anche il latino) e dava libero accesso alle scuole superiori/diploma. La seconda aveva una finalità pre – professionalizzante, perché finalizzata ad avviare ad un lavoro. A Lago esisteva la scuola di avviamento professionale di tipo industriale. Era una penalizzazione, a parte altri aspetti di natura psicologica e pedagogia, che pesava sulle famiglie più povere: la gran parte dei nostri coetanei ha frequentato l’Avviamento, pochi altri la Media (ad Amantea, con il pullman. Un ricordo particolare: Vittorio De Luca /Cova, era sempre ritardatario e la mamma gli  consegnava “a vrudera”/ tazza di latte dal finestrino del pullman, tra le proteste degli altri, preoccupati di giungere a Scuola in ritardo). Direttore della nostra Scuola di Avviamento è stato per molti anni il prof. Carmelo/Peppe Cupelli. Vi insegnavano la signorina Salette Vozza (alle donne), Pietro Scanga /Petruzzu  che sposò la segretaria Amalia Piluso. Gli altri insegnanti venivano da Cosenza, con una macchina (ricordo la Fiat “Multipla” del professore napoletano da Montalto Uffugo). Altri insegnanti vivevano a pensione presso la famiglia Spicciariello (origine napoletana) o in case prese ad affitto, come la signora Pizzini da Cosenza. I bidelli: zia Antonietta Runco (“da Pastera”), poi mastru Vittorio Stancati infine mastru Salvatore Muto. 

 

 Tra le materie di studio prevalevano quelle a contenuto pratico: esercitazioni legno, esercitazioni ferro. Don Federico insegnava Religione in tutte le classi.

 

 Del prof. Cupelli provavamo sentimenti contrastanti: lo temevamo,  gli volevamo bene, perché aveva un comportamento alla mano, popolare. Inoltre era spesso anche sindaco del Paese e ciò contribuivano ad ingigantirne l’immagine. Ma picchiava con le “rigate” e ci rastrellava quando tentavamo qualche “filone” collettivo. 

 L’Educazione fisica era spesso defatigante per molti di noi, perché dovevamo fare molti esercizi ginnici, anche con la fune: per noi era più facile salire su di un albero da frutta, rubare o attraversare un fiume che utilizzare la fune.

   La popolarità di Cupelli era tale che quando venne sostituito nell’incarico di Direttore dal professore Rocco Falbo, molti di noi scioperarono per protesta e alcuni insegnanti soffiavano sul fuoco. Una insegnante di Italiano, la signorina Celestina (che, anche a motivo del trucco, stimolava i nostri giovani sensi) gli correggeva, in incognito ovviamente, anche le note che scriveva sul registro di classe.

Coloro che, una volta conseguito il diploma dell’Avviamento intendessero proseguire gli studi, dovevano sostenere un esame di ammissione in Italiano e Matematica, che spesso significava l’impossibilità di proseguire gli studi e conseguire un diploma di scuola superiore.

 

Alcuni PRESIDI della Scuola di Avviamento Professionale a tipo Industriale di Lago

·         Prof. Francesco Civitelli dal 1932 al 1939

·         Prof. Domenico Iacopetti dal 1944 al 1950

·         Prof. Carmelo Cupelli dal 1950 al 1957 e dal 1959 al 1962

 

Alcuni PRESIDI della Scuola Media Statale di Lago

·         Prof. Romolo Calabrese dal 1964 al 1971

·         Prof. Luise Wilson dal 1971 al 1973

·         Prof. Mario Maione dal 1975 al 1976

·         Prof. Aldo Martire dal 1983 al  1998

 

 

La frequenza

Era molto irregolare. Diffusa l’evasione dell’obbligo scolastico (che prima della riforma ricordata riguardava la sola scuola elementare) e la dispersione scolastica. Pochi i diplomati in Paesi e i laureati erano come le mosche bianche. Le famiglie sostenevano costi e sacrifici immensi per far laureare propri figli. Molto diffuse le ripetente. Tra di noi si scherzava. Quale classi frequenti? La seconda seconda o la seconda terza.

Il sesso a scuola
Il sesso era, in quell’epoca, un tabù. All’età in cui frequentavamo la Scuola di Avviamento, la sessualità cominciava a farsi sentire. Le cattedre erano piene di buchi per consentirci di guardare di soppiatto le gambe delle insegnanti e dare ispirazione alle nostre masturbazioni. I rapporti tra ragazzi e ragazze si limitavano alla coesistenza nelle aule scolastiche.

Sulle scuole serali
Molto diffuse in centro Paese e nelle contrade, soprattutto negli anni dell’immediato dopoguerra. Più tardi, anche le scuole popolari, organizzate da maestri in attesa di impiego sotto la vigilanza del Direttore didattico: avevano lo scopo di combattere l’analfabetismo, allora molto diffuso. Molti maestri, successivamente, trassero vantaggi da queste attività certificate, valutate come servizio, sia pure con punteggio ridotto.


Le scuole rurali
Molto diffuse e presenti in quasi tutte le contrade e frazioni sino a qualche decennio addietro. Alcuni maestri viaggiavano a piedi, andata e ritorno giornalieri. Altre maestre vi stazionavano in modo permanete. Altre, come donna Matilde Mazzotti poi sposata con don Pino Posteraro e attualmente residente a Roma, a dorso di asino. D’inverno bisognava attraversare i fiumi e veri e propri ponti stabili non esistevano. In talune scuole si faceva di necessità virtù: cartoni al posto dei vetri, cartoni e tavole al posto delle lavagne.



Alcuni vecchi maestri
Don Gabriele Magliocchi e sua moglie donna Serafina Naccarato (genitori del dottor Venturino, compiantissimo medico condotto). Don Gabriele, nei primi anni Venti, fondo anche una cooperativa locale. Donna Gemma Civitelli, originaria di Aiello calabro e moglie di don Ciccio Martillotti, podestà di Lago per più anni.
Evaristo Naccarato, marito di donna Elena Maione, genitori di Pino Naccarato, oggi primario urologo in Roma.
Elvira e Rita Muti, di via Pantanello. La prima fu fervente esponente dell’Azione Cattolica e della Democrazia Cristiana, amministratrice comunale, poi dimessasi per contrasti con la sindachessa Elmira De Grazia. La seconda sposò Antonio De Pascale, si trasferirono a Pisa, morì in giovane età. Antonio Ciardullo, figlio di Sebastiano (”Vastianu e scjardona: noto “stimature” ), poi trasferitosi a Cosenza, vivente. Carmela Ciardullo, sorella, che sposò il maestro Orlando Muto, originario di Piscopie, gran fratello massone, grande facondia che spesso lo portava a spararne qualcuna di grossa. Ma brav’uomo. Amministratore comunale spesso perdente, perché aderente all’allora partito repubblicano e perché spirito critico. Gli altri massoni noti erano il medico don Ferruccio Greco (originario di Scala Coeli) e don Pasqualino Cupelli, poi trasferitosi a Mendicino, dove fu anche sindaco del Comune.
Il vecchio maestro don Antonio Orazio Pellegrini, grosso e gran fumatore di pipa, diceva ai suoi alunni: “Ve jiattu na pippata e nde ‘ncapuacchiu quattro ‘e vui”.
Don Mario Posteraro e la moglie Ersilia Politano. Il primo lasciò l’insegnamento, come Orlando Muto, per fare il segretario della Scuola.
Filomena (Menuzza De Pascale): insegnò per molti anni a Fellito, poi a Lago centro. Si recava a piedi. Grande camminatrice anche oggi, in Sila, dove va a ritemprarsi d’estate. Si portava lo scaldino e noi la chiacchieravamo dicendo che si portava “u ncensiari”, come il parroco nelle cerimonie religiose. Grande esponente della locale Azione cattolica. Non si prestò mai al traffico delle false supplenze per malattia, allora molto adoperate e che hanno aiutato non poche a passare nei ruoli della scuola, specie quanti/e avessero genitori insegnanti: una sorta di solidarietà professionale, “in peius”.
Il maestro don Ciccio Magliocchi ha insegnato sempre a Margi. Era molto legato ai suoi allievi, ai quali spesso regalava quaderni, libri, penne, eccetera. All’esterno era di poche parole, tanto che il suo giovane collega e amico di tressette, insegnante Rinaldo Naccarato, diceva che “Parla ad ogni morte di papa”.
Aldo Magliocco, poi sindaco alla morte del prof. Carmelo Cupelli.



Maestre “vecchie” (in parte già ricordate)
Donna Felicetta Turchi in Cupelli, madre del medico don Peppe, ora in meritata pensione. Donna Rosetta Le Piane in Palumbo, padre di Arnaldo, poi segretario comunale per anni a Guardia Piemontese, e di Gigino, poi medico provinciale a Cosenza. Donna Amelia Posteraro, donna Rita La Duca in Spina, donna Isabella Barilà in Scanga (foto), donna Vincenzina Stancati in Magliocchi, i fratelli Bruno e Pasquale Iachetta, originari di Piscopie, poi trasferitisi a Cosenza.


 

 

 

L’igiene e Scuola.

Ogni mattina, “Mani sul banco!”: Il problema non erano tanto le mani quanto i pidocchi. Ci si spidocchiava con il petrolio e le “croste” della testa erano rimosse con un pettine fine (“U piattinu hinu”), che le mamme acquistavano per baratto dai “capillari”, in cambio dei resti delle loro pettinate. Nella primavera, i ragazzi venivano rapati a zero (“scapillati”): erano dolori perché gli attrezzi del barbiere non sempre funzionavano a dovere. Inoltre, via gli scarponi invernali e a piedi nudi. Queste due abitudini non interessavano i figli (pochi) delle famiglie benestanti. Nell’estate, il bagno si faceva nei fiumi: nei “ruanzi”, nudi...C’era chi imitava Tarzan, come Michele Zaccaria, oggi in Canada.
 


Foto: Palazzo Scanga “Supra-a-Terra”: sede delle scuole elementari di 50 anni fa



U mazzettu
Alla fine dell’anno si usava consegnare alle maestre “u mazzettu”: i fiori, spesso, si rubavano nei giardini e, in particolare, quello di donna Rita Gatti che ci rimetteva le penne, nonostante la stretta vigilanza della proprietaria.



U San Giuanni
Tra ragazzi e ragazze era diffusa la pratica del “San Giuanni”: una parentela spirituale, che spesso generava legami affettivi e di rispetto più intensi di quelli di sangue. Ovviamente, la tendenza era quella di stabilire questi legami con famiglie più ricche, sperando in un loro aiuto nel futuro e nelle necessità quotidiane.
 


Le bande
Sin dalla più tenera età i ragazzi formavano le bande: molto unite, in emulazione tra di loro, non soltanto nel gioco del pallone, ma anche nelle ruberie a danno delle coltivazioni. Il bottino finiva spesso nelle “pettate”, data la mancanza di buste di plastica. Si rubavano anche le uova di galline, direttamente nei pollai. Spesso, a Laghitello, si andava a svuotare il corpo: ognuno aveva il suo posto e interesse a riempire la buca prima degli altri. Le scorpacciate di fichi d’India (la fame non ammetteva scelte) creavano problemi di digestione e di defecazione. Ricordo che ad un mio compagno la defecazione fu aiutata con un fuso della nonna, utilizzato normalmente per lavorare la lana. Se questo amico oggi soffre di emorroidi, la causa risale probabilmente a quel tempo e a quelle pratiche.
Le famiglie usavano tenere cibi e frutta su delle tavole esterne alle finestre. Di sera, con dei pali le facevamo cadere, afferrandole prima che toccassero terra. Essere scoperti, oltre alle “mazzate” dei genitori, significava perdere la stima dei compagni: si eravamo comportati da “fessi”, “ciuati”.






Lavori agricoli ed andare “allu mastru”
I giovani ragazzi delle contrade, dopo aver frequentato – di mattina – la scuola elementare, si dedicavano ai lavori agricoli. Quelli del Paese, di pomeriggio e nelle vacanze dovevano andare ad imparare un mestiere: barbiere, sarto, calzolaio, falegname, fabbro. Impara l’arte e mettila la parte. I giovani che non facevano apprendistato erano disistimati, al pari delle rispettive famiglie: “Senz’arte, né parte, “Mangia pane a tradimiantu”.
I più fortunati rimanevano in attesa di proseguire gli studi. In genere, non erano benvoluti dai compagni i quali, forse intuivano le disuguaglianze e le ingiustizie sociali dell’epoca.



I preti mancati
Dopo i vecchi preti (il parroco Posteraro, don Michele Belsito, don Nicola e Gabriele Muti) , solo due compaesani sono saliti agli altari: don Angelo Chiatto (scomparso nel 2005) e don Antonio De Luca (nato nel 1928, parroco negli USA dal 1953). Molti i preti mancati: Carmine Bruni, oggi stimato penalista in Cosenza; Antonio De Pascale, Raffaele Gallo che abitava alla ”Chiazza” che emigrò a Brooklyn (scomparso precocemente nel 1992), Dalmazio Raia, Mazzino Sesti (gran suonatore di fisarmonica, poi emigrato negli USA, scomparso qualche anno fa: “u vachicellise”); della nostra generazione: Pino Falsetti, Luigi Aloe, Francesco Ziccarelli, Carmine Porco ora Ponte (Greci), Mario Carusi (ora a Padova, funzionario di Banca, coniugato con la dottoressa Giovanna Policicchio), Aldo Ciardullo, Giovanni Vozza e altri che non ricordo. Ricordo, però, che don Federico ne era dispiaciuto, perché desiderava ardentemente che un giovane di Lago diventasse sacerdote. Evidentemente, non abbiamo questa attitudine ovvero non siamo degni della chiamata divina. Ricordo che sino a pochi anni fa Lago comprendeva due parrocchie: quella di Laghitello rientrava nella giurisdizione della diocesi di Tropea.



Emigrazione
L’emigrazione dissanguò il Paese: emigrarono non solo persone adulte, ma interi nuclei familiari. Un mio cugino, Mario Sesti, che emigrò verso il 1947/1948 (e che non ho mai conosciuto), prima di imbarcarsi sulla nave nel porto di Napoli disse allo zio Giovanni Sesti (il falegname): “Mi avete visto, non mi vedrete più”. E così è stato, sino alla sua morte. Visse a Saint Louis, Missouri.



La prima comunione
La prima comunione coincideva con la quarta – quinta elementare. Catechismo, frasi in latino, frequenza della Chiesa, manate di don Federico, la ricerca del compare importante, la festa: di regola, biscotti e un bicchierino di vermouth.


 


 

OGGI LAGO ESPORTA PROFESSIONISTI

 

            Considerando che,  nel 1881,  85% della popolazione laghitana era analfabeta, e che nel 1931, il 50% dei residenti non riusciva né a leggere né a scrivere, oggi possiamo invece notare che il livello medio  d’istruzione  a Lago è molto probabilmente superiore alla media nazionale. Infatti, tanti giovani si diplomano e si laureano, per poi cercare lavoro nelle città calabresi o in quelle del nord.

 

     Oggi Lago “ esporta” ragionieri, ingegneri, medici, professori  e psicologi, invece degli artigiani e  dei contadini di 20-50 anni fa. Questo  è stato possibile perché è aumentato il benessere economico nelle famiglie, le quali hanno potuto far studiare i propri figli, ma anche perché oggi si dà più valore alla cultura. Inoltre, chi vuole studiare, non deve più allontanarsi troppo da casa, spendendo molto per il vitto, l’alloggio ed il trasporto, ma può iscriversi a Cosenza all’Università degli Studi della Calabria.

 

Se desiderano incrementare la propria cultura, i paesani oggi possono recarsi:

 

· all’ORTO BOTANICO dell’Università degli Studi della Calabria ad Arcavacata di

          Rende (CS),

· al MUSEO CIVICO di Cosenza dove sono conservati oggetti provenienti dalla

          civiltà Bruzia, e civiltà moderna,

· alla BIBLIOTECA CIVICA di Cosenza,

· al  MUSEO ARCHEOLOGICO  di Cosenza

· al MUSEO ETNOGRAFICO dei MESTIERI di Lamezia Terme (sono state

          ricostruite alcune botteghe recuperando antichi attrezzi di mestieri, ad es., il

          calzolaio, il fabbro, ed il tessitore

· al MUSEO CIVICO di Taverna (CZ) dove sono esposte le opere di Mattia e

          Gregorio Preti

· alla BIBLIOTECA COMUNALE di Lago in Piazza del Popolo 

   (Il Comune offre il collegamento  gratuito con Internet) 

 

Tante  tradizioni culturali consentine sono conservate e continuate:

 

·                    dall’ACCADEMIA COSENTINA (fondata nel XVI secolo da

                                   Aulo Giano Parrasio per promuovere studi umanistici)

 

·                     dalla UNIVERSITA’ degli STUDI della CALABRIA ad  Arcavacata di Rende (CS)   

 

·                    dal TEATRO RENDANO di Cosenza 

 

 

 

 

 

Teatro_A.Rendano

 

 

Teatro Rendano

in

Piazza XV Marzo

 (Cosenza)

offre la possibilità

di apprezzare

balletti, prosa teatrale,

capolavori letterari, e

 la lirica

(la stagione lirica operistica inizia in inverno).

nato nel 1909

come

 “Teatro Massimo”,

nel 1937

fu intitolato ad

Alfonso Rendano,

brillante concertista  cosentino

 

 

Università della Calabria

ad

 Arcavacata di Rende (CS)

Ci sono

varie

Facoltà:

Economia, Farmacia, Ingegneria,

Lettere e Filosofia,

Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali,

 e Scienze Politiche

Il suo sito web e’ www.unical.it

I  numeri di telefono:

 0984 4911

 centralino

0984 493883

 orientamento studenti

 

   

Cosenza è diventata ormai una città d’arte grazie alle donazioni di Carlo Bilotti, un impresario italo-americano cosentino, nonchè collezionista notevole. Il Bilotti ha donato a Cosenza opere artistiche di Picasso, De Chirico ed anche pittori di gran fama, sistemati nella Pinacoteca in via Tribunali, ed inoltre, sculture di Consagna, disposte in “Piazza Fera”, che ormai si chiama “Piazza Bilotti”.

 

 

 

 RIDIAMO un pò:   SEM, CAM e JAFET di Gino Gallo

 

“A nu guagliune de scova elementare, nu pruhessure l’ha fattu na dumanda:

‘Sem, Cam e Jafet, higli ‘e Noè, chi n’eradi u patre sua?’

‘U llu sacciu!’ ‘a dittu u guagliune.

‘Tu te chiami Michele. Mue te hazzu na dumanda ppe la tua hamiglia.

Michele, Giuanni e Pinu, higli ‘e Pietru, chi n’eradi u patre sua?’

‘Pietru, Pietru!’

‘A’ vistu c’u sai! Mue te dumandu cu prima:

Sem, Cam e Jafet, higli ‘e Noè, chi n’eradi u patre sua?’

E lu guagliune lestu lestu à dittu:

 ‘Pietru, Pietru! E tutti a ridere”.

 

 

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Ultimo aggiornamento:  01-09-10