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     Nel periodo natalizio e nel mese di agosto, vengono organizzati a Lago degli incontri  (“’ A Strina Laghitana”),  dove  vari  compositori di musica locale  preparano e cantano, o fanno cantare, le “strine” facendosi accompagnare da una orchestrina improvvisata di chitarristi e di mandolinisti.

    La strina è una tradizione folkloristica, una poesia scritta e cantata in dialetto laghitano. Analizza, interpreta e commenta eventi recenti, sia sociali che politici, utilizzando il sarcasmo, l’umorismo e l’ironia, tutti elementi utili ad aiutarci a non prenderci troppo sul serio.
Abitualmente le strine vengono cantate nel Salone Parrocchiale o nella Sala Cinema-Teatro “Lauriz”, da Natale al 2 febbraio,  ed affrontano vari temi tra cui quelli morali, politici, sociali, esistenziali, nostalgici, umoristici o amorosi.     In passato venivano cantate nelle cantine, nelle botteghe degli artigiani e nelle case di alcuni laghitani che accettavano il rischio di coinvolgimento in denunce da parte di coloro “c’avianu mpacchiati alla strina” e la disponibilità dei proprietari veniva indicata con un ramoscello di ulivo o una lanterna accesa sulla porta di casa, ad es., la casa di “Geniu ‘e Capozza” in fondo a via Duomo di Lago.
Già nel 1920, le strine laghitane furono raccolte nella rivista “Calabria Nostra” pubblicata a Roma e recentemente, grazie all’interessamento di Antonio Scanga di Lago e del Prof. Ottavio Cavalcanti dell’Università della Calabria, è stata pubblicata una più approfondita antologia di strine laghitane (“Le Strine Atipiche di Lago”, Rubbettino, Soneria Mannelli CZ, 2006).
     La strina, tramite la musica e l’umorismo, offre dei suggerimenti propositivi per unire i paesani, facendoli sentire orgogliosi di coltivare un rito antico, nato per essere di buon auspicio all’inizio di ogni anno. Non dovrebbe denigrare, calunniare o  deridere il prossimo, servire come arma per effettuare una vendetta sleale, rimproverando, offendendo ed umiliando i  compaesani o i parenti.

    A Toronto , il Circolo di Lago  organizza ogni anno dal 1982, la manifestazione musicale, “A strina laghitana diretta da Domenico Groe (alcuni dei compositori emigrati laghitani sono Domenico GroeNicola Groe di Toronto, e Giovanni Barone di New York,  mentre Romolo Groe e Sabatino Mazzotta di Toronto sono dei cantastrina).

Esiste un sito web, www.strinalaghitana.com
ideato e curato da Domenico Groe a Toronto, dove si possono apprezzare i testi integrali di strine laghitane  scritte dallo stesso Groe e presentate nei vari Festival della Strina  di Toronto dal 1982 fino ad oggi.

 

Sempre vicino Toronto, Pinu Coscarella (figlio di Vincenzina ‘e Marciallu) canta e scrive strine specialmente quando si unisce nel Club “Tre Monti” di Lago  da lui diretto.

    Gli strinari vanno distinti in compositori  (“chilli chi caccianu a strina”), cantanti ed accompagnatori musicali con chitarre e mandolini.

  In passato ci furono molti cultori della strina laghitana tra i quali:

  • dott. Nicola Palumbo, medico di Lago tra alla fine del ‘800, inizio ‘900
  • Nicova Tozza (Nicola Magliocco), padre di Carminu (‘u scarparu)
  • Don Francesco Martillotti  detto “Ciccozzu”  (1831-1913), padre del medico di Lago Don Peppe Martillotti (1858-1954)
  • l’Avv. Gaetano Turchi ( un uomo colto degli anni ’20)
  • il  parroco Don Giovanni Posteraro (“u Paracu ‘e Luisa”) 1893-1938
  • il parroco di Laghitello Don Carlo Carusi dal 1901 al 1938 
  • Carmine Groe (1920-1999) padre di Domenico Groe, fondatore del Circolo Culturale Laghitano di Lago a Toronto (Canada),
  • Don Raffaele Falsetti
  • Don Giovanni Posteraro, padre di Don Lino Posteraro
  • Natale ‘e Pranzune” detto ”u Protestante
  • il padre di “Minottu ‘e Carrolla” (Ferdinando Guzzo Magliocco)
  • il Prof. Carmelo Cupelli  chiamato “Peppe Cupiallu “(1912-1977) Sindaco di Lago dal 1952 al 1956 e dal 1964 al 1977,  cantautore di molte strine tra cui quelle dedicata a “Ciccu ‘e Maranu” (“…Ciccu ‘e Maranu vuciadi cu na stilla, tenadi a vucca tuta china ‘e oru, me paradi ‘u reclama da croma brilla…”) e a “Duminicu ‘u Biondu
  • Vennarino Caruso (1913-2004) detto “Paulinue Majale”, padre dell’Arch. Pietro Caruso
  • Gaetano Naccarato detto “’U vupu” (cantautore e anche suonatore)
  • Alfonso Gatto (cantautore)
  • Carmine ‘e Isidora” 
  • Vittorio Sacco (cantautore

Tra coloro più vicini al presente citiamo Luchino Politano, Alfonso Gatto, Fulvio Coscarella, Francesco De Pascale, Prof. Martino Milito, Vittorio De Luca, Rinaldo Naccarato, Prof. Luigi Aloe, Giuseppe Marano, Aldo Groe, e Antonio Scanga. Vennarino Caruso (“Paulinu ‘e Maghjale”) è stato uno dei strinari più conosciuti. I suoi versi erano semplici e l’ironia bonaria ma le sue strine arrivavano direttamente al cuore della gente.
Un altro formidabile autore  e “cantastrine” era Gaetano Naccarato (‘u Vupu) (fotoAAA) nato alla contrada Timparello il 1928 ma che purtroppo visse solo  52 anni. Gaetano amava la compagnia, e  suonava la chitarra, il mandolino e il banjo. La sua   “Strina allu viantu”  vinse il terzo Festival della “Strina laghitana” svoltosi nel salone parrocchiale di Lago nel gennaio del 1979.

La seguente tabella visualizza le varie manifestazioni musicali della “’A Strina Laghitana” di Lago, le date, i vincitori, il titolo dela strina vincente,  e gli organizzatori.

 

DATA          VINCITORE    TITOLO della STRINA                ORGANIZZATORI

1977

Franco De Pascale

“ ‘U tiampu anticu ‘e chillu d’oje”

Don Federico Faraca

1978

Alfonso Gatto

“Tradizione belle e tiampi brutti”

Don Federico Faraca

1979

Gaetano Naccarato

“ ‘A strina allu viantu”

Don Federico Faraca

1980

Nicola Porco

“Mistiari senza tiampu”

Don Federico Faraca

1985

Antonio Scanga

“ ‘A zicca e llu piducchjiu”

Luchino Politano

1986

Antonio Scanga

“ ‘U giurnale”

Luchino Politano

1987

Franco Cicero
ed Aldo Groe

“L’autoscuole”

Luchino Politano

1990

Antonio Scanga

“Bar Sorrenti e lli clienti...”

Luchino Politano

1991

Antonio Scanga

“Garibaldi allu Cumune”

Luchino Politano

1992

Antonio Scanga

“ ‘A strina d’’i capilli”

Luchino Politano

 

Dal 1981 al 1984, nel 1988, 1993 e 1994,  i festival vennero  sospesi. Dal 1994 al 1999 si svolsero delle rassegne di strina in tre serate senza vincitori ne vinti. Da agosto del “98 ad oggi la strina è portata in piazza travisando i canoni che la vogliono legare al periodo Natalizio. Gli organizzatori dal 1994 al 1999 sono stati  Antonio Scanga,  Luigi Mazzotta, e Franco Cicero.

 

Tra i cantautori più prolifici citiamo Antonio Scanga e Luca Politano

Antonio Scanga  dedicò molte strine al paese di Lago ( A huntana ‘e San Giuseppe,  ‘N capu i Catoja, Bar Sorrenti e lli Clienti), alla strina ( Strina alla Strina, Cantu alla Strina), alla politica ( Chista à la Terra), all’emigrazione (‘U ritornu d’u migratu, A littara ), alla critica sociale (‘U discipuvu e lu mastru), alla moralità  (Alla hurtuna), a problemi esistenziali ( U viale e llu canciallu, Quandu scura), all’amore ( A zicca e llu piducchiu) e all’umorismo  ( Patiarnu avanti e Dipignanu appriassu).

Luchino Politanodedicò alcune strine a Lago (E Vacu Vacu, 30 anni ‘e Storia Paisana), altre alla strina stessa (‘A strina ‘e Paulinu), alla critica sociale ( Ia e lli patruni, Storia e nu povaru Cristu), alla moralità ( L’urtimu capitanu, U cantu de la vita), all’amore (Passadi ‘a bella) e all’umorismo ( Parramu ‘e cose serie)

Anche Vennarino Caruso ne scrisse molte:
” A huntana ‘e San Giuseppe, Risate all’usu anticu, U quaziattu da Befana, L’emigrante, Scioparu, Tiampi moderni, Mundu all’Mbersa e  U mundu va cangiandu”

 

  • STRINARI

Luigi Aloe, Antonio Scanga , Luca Politano e Domenico Groe sono solo alcuni dei “strinari” di Lago. Si riportano i testi integrali di  quattro strine scritte da questi autori.

“U CARRINU
(Strina  di Luigi  Aloe)

Il Professor Luigi Aloe, laureato in Storia e Filosofia, s’interessa non solo di “strine” ma anche di poesia,  pittura, scultura e musica.
I suoi lavori storico-culturali su Lago  sono citati nella “Enciclopedia dei Comuni della Calabria”, nella “Storia dello Stato di Aiello in Calabria “ di Rocco Liberti,  e  nella “Storia di Lago e di Laghitello”  di Sergio Chiatto.
Le sue “strine” sono state presentate alle varie  manifestazioni della “ ‘A Strina Laghitana”.
  Questa “strina”  va  letta cogliendo lo spirito ironico dell’autore nei confronti di un mondo che dimentica i valori d’un tempo e che va sempre più materializzandosi, legandosi al denaro.Essendo stata scritta quasi vent’anni  addietro, l’autore lamenta  profeticamente la decadenza della politica.

 

“Ognuno và ramingu ppe lla lira,
va d’afantu cu u cane ppe lla quaglia,
e machiniandu và matina e sira.

Iu vi lu dicu, a vui vi lu cumpiassu,
e perdunati si signu gradassu,
ma signu spiartu, e, nullu me ha fissa.

Sì troccana si manca llu dinaru,
e alla sacca a himmina se jetta,
ccu llu sciancatu cce trova riparu.

Si manca llu zicchinu a la mariova,
nè canna d’organu, nè missa cantata,
nè maccarruni, nè vruadu de sova.

Tu parri d’uguaglianza socialista,
ma chissa udia nemmeno all’atru mundu,
ll’à a cappella, ccà a terra pista.

A lira, lu zecchinu e lu carrinu,
cu ‘u Patreternu su tutta na cosa,
ca iadi unu e pue diventa trinu.

Me hazzu na cammisa e capisciova,
nu cavuzu e villutu, ccullu giaccu,
e nnu scarpune tuttu quantu e sova.

Ma chine ia spasuvatu, povariallu,
se grattadi a rugna a S. Giuseppe,
puru si tena pizzutu lu ciarviallu.

Aspiattu i pulicini de la  jocca,
e da la scrofa li dece purcialli,
u latte da crapuzza ccu la nocca.

Sona chitarra mia, suname nfundu,
e doppu c’a hinitu, u giravota,
prima va nciavu e dopu allu perfundu.

I mura l’aza sulu u ‘ntrallazzista,
cà culle manu nullu se ha avanti,
va bbuanu si te jiatti ccu ‘nqua lista.

Si tiani prutetturi in parlamiantu,
o mini granca ‘ndu cc’è simminatu,
divianti pue ‘u priure du cummiantu.

Me fravicu nu Santu ‘e cartapista,
e si me ha truvà ‘nqua travatura,
me viastu pue de monacu trappista.

Carrriattu, pignatiallu e sceccariallu,
signu picuazzu, ia,  vaju alla cerca,
ppe gloria magna ‘e chistu santu biallu.

‘Nde liccu li schavuni d’a Nunciata,
me vattu pue llu piattu ogni matina,
allisciu li zecchini alla pignata.

Te trattanu c’u  schavu alla minera,
e tu li guardi ccu lla vucca ancata,
sti deputati, avanzi de galera!

E vruaccuvu te piglianu a lla chiazza,
e tantu ca scharroccianu parove,
te mpraschanu a haccia de sputazza.


 

 

 

E chine ‘un  mangia e biva, jia nu hissa,
facissi prosta a l’ura chi passa,
e de lu mundu nde scippassi l’ossa!

E quante vote i sordi d’usuraru,
« u dittu de l’anticu mai nun falla »,
si li mangiau ‘nciambotta ‘u sciampagnaru.

A mia me dova ca nun tiagnu horza,
ppe d’uaru me vindissi lu giaccu,
scimissu, casa, terra, culla, crozza!

I guai lassamulili alla mariova,
e mbiertuva lassamu i patimienti,
vutamu carta, a nna jurnata nova! 

Ed allu core ccè tiagnu nu piarnu,
squagliau  giustizia! Ed allu mundu,
‘un nciadi Paradisu, ma ccià mpiarnu!

Me hazzu cu i Marruacchi i hatti mia,
me mangiu nu turdillu ccu ‘lla sarda,
rispiattu pue i cani ‘mmianzu a via!

U schutu mi lu limu a  lla taverna,
cunzumu la candiva a ppuacu a ppuacu,
e mmuaru cu lu micciu alla vucerna.

 Du piattu me cacciassi llu duvure,
povera Italia mia, un tiani pace,
ca’ nun te sarvadi mancu lu Signure!

E nui, ppe vutare simu bbuani,
ccu carta e pinna a ssa cancelleria,
ma ccà, ndo nui, su sempre lampi e truani!

I brigatisti sù na mava razza,
ma chilli chi cumandanu la rota,
s’accattanu e se vindanu la chiazza.

Me mancu franchibulli e ppuru colla,
nessunu ca te lejia lla ventura,
te pue jettà da timpa de Carrolla!

A sira, m’arriciattu alla vrascera,
jiancu ‘u capillu, cumu na nivera,
u nme cruciju cumu carvunera.

Ma s’alla chiazza venadi Pajietta,
datu ca me manca llu lavuru,
‘u mpizzu e llu spitijiu cu la  jetta.

E muartu me purtassi lla vavina,
ma vivu, zingariju allu timpune,
spece si cantu ncu na strofa ‘e strina!

Mue tutti, ad unu ad unu, ia ve salutu,
ve mandu pue l’aguriu ‘e Bon Natale,
vivitive lu vinu ccu ‘llu mbutu!

Vivitive lu vinu a ‘llu cellariu,
haciti corna si cciadi mavucchiu,
apede pue cuntati ‘u centenariu.

Ve lassu, mi nde vajiu ccu ll’aguriu,
trincati tutti, haciti ciroma,
v’affidu tutti mmanu a ‘llu Signuru!”

Prosit.

 

   “ ‘ALLI CATOJA”

(Strina di Antonio Scanga)

 

Il cantautore di strine e poeta, Antonio Scanga (foto), un autentico laghitano nato nel 1961, impiegato al Comune di Lago, viene ispirato da forti sentimenti d’amore per il Paese e per il dialetto laghitano.
 Iniziò a presentare pubblicamente le sue “strine” nel  1977, alla giovane età di 16 anni. Da allora  ne scrisse moltissime, vinse per ben cinque volte il primo premio nella rassegna laghitana “ A strina laghitana”, e un centinaio  di sue strine sono state pubblicate nel libro”Le Strine Atipiche di Lago”scritto dal Prof. Ottavio Cavalcanti dell’Università degli Studi della Calabria (Rubbettino Editore, 2006).

Questa “strina” proposta il 20 agosto 2004 in occasione della “’A Strina Laghitana” in Piazza Cristo Re, tratta di ricordi e descrizioni della zona vicino la Chiesa di San Giuseppe (“Catoja”) e di particolari personaggi vissuti 30-50 anni fa.

 Signori  bonasira ccù llu core
e’ ‘nu piacire a mme truvà ccù vui
‘migrati  paisani e genti ‘e hore

Stasira Cristo Re rida cuntiantu
c’ha vistu ‘a remurata alli Catoja
ma ‘u cchjù dde tutti ia Ginu Surriantu

Ma ppè cuscianza ‘nde tena’ ragiune
ca d’ogne festa era tagliatu ‘hore
e guannu l’accuntenta ‘llu Cumune

Quanti  profumi se sento st’astate
E’ ‘nu recrijacore ppe’ lla vita
Chine frìja sazizze e cchi patate

‘I  ‘mbriacuni se strico lle manu
Giacobbe l’ha rapiartu ‘na cantina
vicinu ‘a ghjiasia de Santu Vastianu

‘U frate a vinde futta s’è jettatu
e mò Romanu had arrizzatu ‘a grigna
ca ncù cliente si ndè ia’ scappatu

Pascale ‘e Carrucciune ‘un se castìa,
e ppè ‘n’crepà rivali e concorrenza
arrùazzuva’ mivuni mmianzu ‘a via.

‘I cannarùti tutti su avvisati
alla putiga d’’i fratelli Sacco
“Chiedete che sarete accontentati”

Mangiati ccù criteriu e ccù judizziu.
Si vè sentiti male cc’è Sonninu
o muarti o vivi ve ‘hà llu servizziu.

Sa tradizione c’amu ereditatu
stasira ‘a puartu ccù derittu core
allu quartari ch m’hadi allevatu

 

‘A simpatia de Angiuvu ‘e Cardune
e l’allegria chi davanu ‘i  Marruacchi
seduti ‘n’capu ‘a scava du Comune.

A  zà Maria ccù lla lavanderia
zù Ciccu ‘e Santa chi stagnava rame
e nannuma Pippinu Zaccaria.

‘U sale ‘ngrìse de Don Celestinu
‘e ‘hùnicèlle ‘e Zà Pippina ‘e Santa
e lla putiga de mastru Erculinu.

‘I cucumella de Zù Armandu ‘e Vòe
e allu girune da porta du jume
e menze sove de Pascale Aloe.

Mastru Lillinu chi ‘hacia’ capilli
e cu lla grita da carcara ‘e Sopu
Zù Gistu chi ‘mpastava’ presc-carialli.

Ed è crisciuta ‘a guagliunanza mia
ccù llu martiallu ‘e patrimma alla ‘horgia
‘i ‘ntagli de Zu Ntoniu Zaccaria.

E ccù mastru Rahele chi grivava
‘i jurni chi jucandu allu pallune
alla vitrina ‘nu vitru ammentava’.

 

 ‘Se porte  mò ‘nchiuvàte a sina ad’iari
ero raperte a passatiampu ‘e tutti...
all’arte allu commerciu e allu mistiari...

Sù ‘na fotografia du tiampu anticu
 Stasira ‘e strofe de ‘sa strina  mia
cù chille chi  ‘hacia Zu ‘Hidiricu.

Ppè ‘nu rispiattu a chine si nd’è jutu
turnati arriati-passu ‘nziami a mia,
le damu ricurdandu ‘nu salutu...

Chilli cchjù viacchji e chilli pari ‘e mia,
ricordanu a Zu ‘Ntoniu du Pizzutu
a Titta,  a Zù Luiggi e a Zà Maria

‘A chianca ‘e Zù Rumeu, ‘ na cosa rara
vindìa carne ‘e muntune ppè d’agnellu
c’un se cucìa nemmenu a na carcara

A Carminiallu ‘e Micciu alla benzina,
‘u dazziu de Giuanni ‘a Cannunèra,
zù Cesaru Guerinu ed Esterina

Du cursu chi scindìa allu mundizzaru,
Crolinda, Ciccu ‘e Cova ed Ordericu,
‘a bancarella ‘e Ciccu ‘u Cavallaru.

E tutti i guagliunialli arremuràti
‘hacìanu ‘a rota a Zù Miliu ‘e Bellina
ccù lla carretta chjina de gelati.

‘A naca ‘e zù Giacchinu ppè ricotta
ppè spinguve ppe d’achi e zagarelle
passava’ zù Nicova da Casciotta.

Petrangiuvu e Richettu ero dde casa
chine le dava’ ‘nu mursiallu ‘e pane
chi le jettava’ ‘na ‘hicu d’’a spàsa.

Ccu cump’’e Ciccu ‘e Gnazziu mmianzu ‘a via
chi n’allegrava de viarnu e d’estate
sempre cantandu ‘Qui comando ia’.

‘Nu hitu a tira-vazzu e lli “cucuni”
‘a ciglia ppè lli zùcchiti e lli ‘ngalli’
e lla carrozza ppè carrià’ trincuni

E ccù lla primavera ad aria queta
‘e ‘monachelle” allu ruanzu du jume
‘a ‘mmucciatella tuma e lla cumeta...

Mò ‘i viacchji su’ a ‘nu mundu ‘e veritate
e tutti i guagliunialli sù crisciuti
‘e sìliche ‘e ‘se rughe abbandonate.

Ma ‘u tiampu passa’ e scrivadi ‘na storia
ed’ ogne d’unu ‘e nui tena’ ‘nu libru
ndù leja’ lli ricordi da memoria...

Vulìssi dde nu viarsu salutare
ma ccù s’accuardu duce de chitarre
e’ ‘nu peccatu a ccè lassare stare...

Ma chiudu ccù n’abbrazzu affezzionatu
‘u dugnu ccù llu core a Zù Michele
chi doppu trenttott’anni è riturnatu...”

 

 

CCHI’  DIA  CHI N'HA LASSATU  STU  MILLENNIU

(Strina di Luca Politano)

 

 Il Professor Luca Politano,  insegnante a Rhò (Milano), è il direttore artistico del gruppo folkloristico laghitano “U Campanaru”, ed ha sempre diffuso  la storia e le tradizioni popolari del Paese.
  Da circa trent’anni partecipa alle rappresentazioni musicali della “’A Strina Laghitana” a Lago ed a volte anche a Toronto (Canada).
 Questa “strina”, composta poche ore prima che iniziasse l’anno 2000, ricorda con affetto e nostalgia molte persone che hanno dato lustro a Lago.
 

 

Ne lassa a tutti a poesia da vita
na cosa grande ca se chiama ‘bene’
ca dura finu a quandu u d'hia finita.

Dui uacchi c'hanu vistu tante cose
due manu ca se su pigliate a schjaffi
due manu ca se su scangiate rose.

U signiu de la cruce la matina
u sule chi quadighja le bellizze
e a terra ancora china d'acquazzina.

Dui viacchi curvi ormai cumu na canna
ccu gioie e dispiacìri supra a haccia
chi s'hanu misu nume Patre e Mamma.

Sti hjgli chi su sempre na ferita
ppè chine i tena e chine u lli pua avire
su loru chi ne cangianu la vita.

N'antica guerra ca u nna datu nente
u chiantu delle veduve alluttate
e n'atra ccu lla bumba ntelliggente.

A horza du potente e lla pretesa
de mìntare lu surdu supr'allatru
e a povertà de Matre Teresa.

Sta freve ca ne liga alli luntani
stu core cìuatu ppe li horestiari
l'orgogliu e dire simu Laghitani.

Da tradizione , lu piazzu cchiù bbùanu
e strine e Paulinu e de lu Vupu
e a voca e mastru Carminu du Truanu.

 

 

E fraviche di mastri Gesimina
i capitialli de  mastru Girlandu
e la scultura de Totonnu Spina.

Da poesia, cu arte infinita
i scritti de la signorina Vozza
ca c'hadi  dedicatu tutta a vita.

E u sensu da giustizia, lu cchiù bbiallu
lu cchiù amatu fra li laghitani
porta lu nume de Peppe Cupiallu.

Sempre dispostu a lla cortesia
a  strada hatta e Giacumu Mancini
n'ha fattu dare a manu alla Manta.

Ne lassadi la gioia e la hurtuna
de Mariu Runcu , natu all'Arie e Vupu
cu primu italianu supra  a luna.

......e signiu ca unsepuadi cancellare
l'apostulatu de don Federicu
ppe lu teatru e Asìlu Parrocchiale.

Ne lassa  l'erve de mastru Pippinu
l'arte vizzarra de mastru Minottu
e de Nicova e Ghjacuviallu u vinu.

Ne lassa lu ricuardu e nu mastrune
a medicina du miadicu Magliuaccu
c'ha sarvatu tuttu nu Comune.

Ne lassa la passione da terzina
Luchinu, Ntoniu Scanga e Ntoniu e Ganciu
Viva u duimila , evviva sempre a strina”.

 

 

 

EMIGRANTE LAGHITANU
(Strina di Domenico Groe)

Domenico Groe, nato a Lago ed emigrato a Toronto (Canada), ha fondato nel 1981 il “Circolo Culturale di Lago” di Toronto dove organizza ogni anno la rassegna musicale “A Strina Laghitana”.  Si è sempre impegnato a diffondere tra gli emigranti di Lago le nostre tradizioni e la nostra musica folcloristica.

Riporto il testo integrale di una strina che egli compose a Toronto nel 1976, intitolata “Emigrante laghitanu”.
 E’ la storia di un emigrante laghitano  che narra il triste giorno  della sua partenza verso il Canada, dove troverà tanti paesani oberati da molto  lavoro.
Ricorda nostalgicamente gli anni felici passati al paesello.

 

“Bon’annu a tutti de lu mbriacune.
Me jivi a bive’ chilla vutta sana;
scusati si aju hattu lu cahune.

E’ stata, forse, ‘a strina laghitana
chi ‘st’anima la inchjie d’allegria
cuomu ‘nu cucumiallu alla huntana.

E certe vote ie’ la malincunia
chi me ricorda ‘lli tiempi passati
Quand’er’ancore allu paise mia.

‘I miegli jurni ‘e hesta arricurdati,
ccu ‘na scarpuzza sana e n’atra rutta,
càvuzi e cammisella arripezzati.

A cchilla terra povara ed asciutta
vrusciata de lu sule e de lu vientu
‘A guagliunanza la passai tutta.

'I vecchjiarielli chjini 'e sentimientu
dicienu:«Huja 'e ccadi quantu vidi,
vatinde ca te truverai cuntientu!»

Ed a settembre d' 'o cinquantatridi,
hacienu 'i hurguli allu Laghiciellu,
dissi: “Madonna mia, tu me guidi!”

E patrimma sciugliu' lu ciucciariellu,
cce misa' lle valicie, e lla via via
scucchjiava' chjianti cu' 'nu quatrariellu.

Scindimmi a la stazione d’Amantia;
vinne 'nu trenu luongu de Missina;
mi cce misi de supra ed addia!…

Addia paise mia, vinne la hina,
addia guagliunanza sapurita,
scuagliata cu' 'na guccia d'acquazzina.

 

Ed a mienzu caminu de la vita
me ritruvai 'ntra 'nu cuntinente
chi la deritta via l'avie' smarrita.

Misi li piedi a ‘sta città dolente
ed cridi, ancora sembra duru
ca cc’eradi ‘migrata tanta gente.

Chiste parole de culure scuru
eranu scritte alle porte d''e banche
supra li ddollari e supra ogne muru:


”Anime nivure ed anime janche,
ccàdi 'u lavuru ie' l'unicu rispiettu
nzina chi diventati vecchjie e stanche!”

Disse 'nu paisanu, poverettu:
«Chista ie’ lla terra de li sbenturati
chi ànu piersu l'amure e llu ntellettu

Cca' cce su' tanti 'e chilli sciagurati
chi nun canuscianu jurni festivi;
cca' cce su' tanti 'e chilli sciagurati

Oj cara cammisella arripezzata,
tu furtunata, nun si' cca' ccu mmia
Intra 'stu mpiernu a vampa scatinata
.

Si putissi turnare assiemi a ttia,
'na sacca la inchjieradi de stilli;
n'avutra 'e pane e ficu ed allegria!

Alle signore chi le hanu ‘i turdilli
le aguru cent’anni ‘e cuntentizza
e bona notte a grandi e piccirilli

 

 

NTANTAVIGLIA  (Dormiveglia )
(Strina del Prof. Francesco De Pascale: Natale 1979)
                              Sindaco di Lago dal 1994 al 1995,
Il Prof. De Pascale sogna come potrebbe essere il mondo
senza affanni, cattiverie e dispiaceri.

 

“Scúrradi ‘u tíampu e ‘un cángiadi a sorte.
‘U mundu aspetta sempre lu Missia
speranza ‘e vita viata cuntr’a morte.

‘Nu súannu duce senza mavatia
senza malizia o curpa e senza dannu.
Sona chitarra e facce a magaria.

Haiu sentutu tante strine amare
chine de raggia e de risu sguajatu
ia quíatu  quíatu mo vúagliu cantare.

Hermámune na puacu a ‘su paise
mentre se campa ‘mpace e sena guai
e si me sbagliu nde pagu le spise.

Porte raperte e tutti quanti amici
e si t’accúrra suppressata e vinu
‘un c’è bisúagnu mancu chi lu dici.

Case urduruse e vrazza spavancate
‘nu ventaríallu ‘e pace e d’amicizia
ha spurveriatu tutte ‘e cose ‘ngrate.

‘A ‘mbídia è ‘nu ricúardu du’ passatu.
Nullu se spia l’ úartu du’ vicinu
ca si nde préja tuttu ‘u vicinatu.

Chine lavura a ‘n’arte e a ‘nu mestíari
chine záppadi a terra e chine tessa
‘n c’è bisúagnu cchjiù de Carbiniari.

Su scisi puru i vupi da’ montagna
‘e piacure cce páscianu vicine
‘a vita è diventata ‘na cuccagna.

Scumpársi su’  li síarvi e li patruni
hâu píarsu lu putire Gghjíasa e Statu
I víacchi mo diventanu guagliuni.

Ppe’ tutti c’è lu pane e lu lavuru
ogne cosa se fa ccu cuntentizza
‘un vidi ‘nu cristianu cchjiù allu scuru.

I sordi su’ sperjiúti ‘intra ‘a mundizza
‘u fiarru e l’oru su’ la stessa cosa
si’ riccu ccu nu stúaccu de sazizza.

 

 

 ‘U horestíari cúrradi allu Vacu
ch’è diventatu ormai ‘nu paradisu
resta ‘ntrudúttu e se senta ‘mbriacu.

‘Ntramente se ricoglia l’emigrante
vássadi casa e carru a Brocculinu
‘u cúarpu struttu e la capu pisante.

Se sunu alluntanati ‘e ‘na manera
duvure, crepacuore, chiantu e raggia
ch’ogne maritu adura la mugliera.

‘Míanzu ‘sa via ccu’ l’uacchji ‘mbellútati
‘na murra de gajári e quatra-sc-cóve
s’abbrazzanu cû tanti súaru e frati.

E’ libera ‘a bellizza da’ ragiune
‘nu puzzu chi te duna mele e manna
Cci nd’ha ppe’ tutti quanti allu Cumune.

Húja la notte e vena la matina
s’aza lu sule supra ‘sa cuntrada
mora lu súannu e tornadi ‘a ‘mbuína.

E’ curiusa ‘sa notte ‘e Natale
te minta ‘n capu pensíari ‘e quatráru
e dopu ríasti a fissa cû Jugale.

Vénanu Capudannu e Bihania,
agúri a chistu e a chillu, stritte ‘e manu
po’ te trúavi cchjiù suvu ‘mianzu ‘a via.

Trúavi na hulla e genti alli murtúari
‘Povariallu, era búanu ‘su cristianu!’
‘Ntramente píansi a tia ch’ancora ‘un múari.

‘Nu mefru duce e fele ‘intra lu píattu
vrigogna da’ natura, cancarena
síansi revuzzunáti ppe dispíattu.

Parrátime ‘na púacu da’ speranza
‘Un me purtati cunti ‘e cca e de lladi
sinno’ me píansu ca nun c’e’ crianza.

Passa lu víarnu e torna primavera
‘U sule squatra la miseria nostra
Chi ne reviglia e fa la ‘mprittuléra.

 

 

"U CANTASTORIE"-

omaggio al Dott. Francesco  Gallo (Christian Cupelli- 2006)

C. Cupelli, nipote del Prof. Luchino Politano,  poeticamente paragone l’autore del libro (dott. Francesco Gallo) ad un cantastorie che con la forza di un ragazzo, racconta la storia degli emigranti laghitani.

Signu 'nu viacchiu artista de la strata
dugnu la vita a quattru burattini
armu u tiatru sutta e 'na herriata.

Giru lu mundu 'nziami a nu carrinu
a lira serva suvu 'ppe sunare
antiche ninne nanne ad'Arlecchinu.

Intra a valigia hatta de cartune
chjina de carte scritte e de ricordi
puartu a horza virde e nu guagliune
Dùgnu a vuce sua a nu pupazzu
ca cunta ‘n rime tutta a jilettella
e quandu se jucavadi a tiravazzu.

"Cera na vota u paisiallu mia"
i tiampi tusti da Guerra Mundiale,
'ccu 'lle hiscelle appise 'mijanzu na via.

Eràmu contadini povarialli
tutta a ricchizza nostra era lu core
chjini e pezze cu di presc-carialli.

A radiu nostra era nu cardillu
u sule ne hacìadi pe relògiu
u "break-fast" eradi u "mursiallu".

U suanu d'acquazzina gucciulìare
u schutu chi cantava supra a cerza
i pavi 'ppe l'alive e copaniare.

Ricuardu a Don Giuanni Posteraru
tutte 'e rivorte cuntra "u Caruvita"
e 'Ndo Marianu hattu Cummissariu.

Pianzu a la Missione Passionista
'ccu lu 'ngjinocchiture 'mianzu a 'cchiazza
vicinu a nu prisepiu, e cartapista.

Mastru Girlandu supra à 'ccummissione
crìavadi pastori e grita cruda
senza na paga ma, 'ppe devuzione.

‘Ngrupatu lavurava cu 'llu hjischu
cacciandu a capu hore de la porta
hìicìa pastora a “ Rahevuza e Cischu."

Quante jurnate a 'cchillu Petrarizzu
cu Mamma chi haciadi li cullura
'e Papu chi cunsavadi u humarizzu. 

Eramu nati tutti alla "Puccini"
crisciuti e maturati a la trincea
giuvani,viacchi e puru li stuppini.

Dopu lu cangiu de sa melodia
vincimmu dui concorsi pruvinciali
unu a Cusenza e natru a 'lla Mantia.

'Ppe premiu a nave avimu de pigliare
u viaggiu 'mericanu da speranza
porta 'ntaviglia e chine un sa turnare.

Grazie a "La Guardia" simu emigrati
chiudiandu a porta n'faccia a 'lli Fascisti
cruciati cumu tanti discraziati.

I 'Mericani s'eranu stancati
e hare li lavuri manuali
"l'assamuli alli cani e l'emigrati".

Addìa paise mia,Addia trumbune
l'unicu suanu u davadi u tiliau
e 'llu Maestru eradi u patrune.

Scumpàrsa era la marcia e lu spartitu
hatìga jia raminga e scarpe rutte
e manu rùmpìu suvu petre e granitu.

Dopu trent'anni piansu ancora a 'ttia
se pò cangiàre l'usu e lu custume
ma no la nostalgia du core mia

Su core ha 'nginaglia puru cu ‘lle porte
"Acqua passata un macinadi 'cchjiudi"
e pave du pensiaru giranu horte.

Nannuzzu lavurava de scarparu
cu 'lla vuccuzza chjina sempre e chiuavi
e de parole 'bbone 'ppe 'ncu quatraru.

C'era puru la "harsa" e Carnevale
vrusciavamu "u Carnavalinu" n'chiazza
vestuti de harzali o cu Jugàle.

A sira esciamu tutti quanti hore
'ppe videre a Don Giuliu de Cupiallu
passare intra nu carru a motore.

Dopo ch'era spugliatu e pecuraru
me jia'a 'mparare a trumba cu'llu tiru
'ndu 'llu Maestru "Nandu Posteraru".
Ogni matina s'aza lu sipariu
supra sa vita hatta e sacrificiu
dugnu allegrìa, chiudu, e minde vajiu.

Tutti i guagliuni su 'mianzu na via
guardanu u huacu escere da vucca
strìngiandu horte a mamma da pudìa.

Chjianu hjiccu na manu intra a mariova
cacciu na hjilettella Vachitana
e n'emigrante jiutu a Jorca Nova.

C'eranu due bande concorrenti
una era 'cchilla de 'li "Popolari"
a mia se chiamavadi i "Combattenti". 

Mue c'à hiiletta sta 'ppe terminare
"u burattinu" paradi nu 'nnchinu
pensatice e truvatime a morale.

"U Cantastorie" chjiudadi la strina
se vasciàdi la tenda du sipariu
'ca a notte hujia viarsu la matina.

A vita gira 'nziami a su carrinu
puartu a canusce a strina Vachitana
'ccu 'lla mandola e cu 'llu burattinu.

Sa strina è cu nu cavaliari errante
cumbattadi lu vuatu de lu core
cù a littara c'à fattu s'emigrante.

 

  •      POESIE in DIALETTO LAGHITANO   

 

  • PAISE MIO

poesia di Gaetano Coccimiglio, nato ad Aiello Calabro CS nel 1934, ispirata  da un legame forte ed un amore profondo verso il suo paese che si distende ai piedi dell'antico castello medievale

Quando pune llu sule tutt'e sire me sientu veramente disperatu,
de sta città minde vulisse jire allu paise ch'haiu abbandunatu,
pensando a chille case, a chilla gente, tutt'i i ricuerdi tornenu alla mente.

Quanta malinconia dinta stu core pensando a chillu mundu
paisanu: viju l'amici mie che stanu fore, a vecchierella supra lu vignanu,
a gente chi fa sempre e stesse cose, ma stu paise è nu giardinu e rose.

E cascinelle stritte e ammazzellate fravicate allu pede du castiellu,
e case nove e chille scatriate de stu paise chi se chiame Aiellu,
viju le finestre tutte scure 'ndo s'affacciave chillu primu amure.

Ma vene nu tremure, arrassu sia,
quando guardu le vecchia funtanella e la mimosa sutta a casa mia lu mise de fravaru tantu bella,
u lavuru jiurutu 'ntru giardinu e 'mbersu u cielu a punta de nu pinu.

A vecchia chiazza, ud è cangiatu nente,
nu ramu appisu all'arcu da cantina e fore camina a stessa gente,
u vecchiu alla scalune a Catarina chi tremolante parre du passatu,

a sira se ricoglie assulicchiato.”

 

 

“MASTRU CICCU”

poesia di Antonio Scanga 

che il poeta dedica a suo padre, Ciccu di Sciani che faceva il fabbro. 
Con sentimento descrive la bottega di via Scaramelli e
 vari particolari legati a questo mestiere.

 

Ccù l’ariètta d”a matina
ca minava’ d’acqua o viantu
de ‘na porta scatrajàta
de sentia’ chillu lamiantu.

‘Na putiga scura scura
de ‘hilijne pittàta
ccù ‘nu ciavu de scigùni
ccù ‘na chiatra a silicàta.

‘Na cunchètta chjìn”e acqua
‘da valéstra a ‘nu cantune
pinza rùajuva e tinaglia
a ‘na rasa d”u bancone.

‘Ntr”a carvuni e caciarògne
chillu mantice jujjhiàva
‘u paise chi durmiadi
quandu‘a ‘ncutine cantava’.

‘E cariòve a ciantu a ciantu
cù stilluzze ‘a notte scura
chi nascìo d’ ’a vampa viva
chi murianu ‘n’capu ‘i mura.

‘A mascagna’namidlta
‘a cammisa divrazzàta
ccù lii cavuzi caduti
e lle scarpe a vucc’ancàta.

Mastru Ciccu era’ susùtu
primu ancore d’ ’ajurnata
già minava’ llu martiallu
ppè ‘na vita troppu ‘ngrata.

Sempre luardu anniricàtu
cù ‘nu viacchiu carvunàru
‘nnamuràtu d”u mistiari
“Mastru Ciccu era’ furgiàru.”

 

 

A ‘nu stante ‘e chilla porta
‘nu cunpagnu sempre arzillu
appricàva chilla caggia
ndù verniàva’ llu cardillu.

A ‘na posta a ‘nu chiuvilattu
lavurava’ senza sgarru.
De ‘nu picu ‘mbiarticàtu
nde veniadi ‘nu sciamarru.

Cù ‘nu ciucciu chjìnu ‘e cronte
cunzumàtu d”u lavuru.
Ma ‘ntinnàva’ llu martiallu
chi vattia’ llu perciatùru.

Mastru Ciccu era’ ‘nu mastru
buanu vistu e rispettatu
Mastru Ciccu era’ ‘nu mastru
de discipuvi turniàtu.

Unu penza alla ‘hurnàggia
‘n’atru jetta lli carvuni
unu mina ccù lla miazza
‘n’ atru ‘huma alli ‘mmucciùni.

E passava’ lla jurnata
tra ‘na chiacchiara e  ‘na botta
se hermava’ Zù Jennaru
ccù ha naca d”a ricotta.

‘Na ‘hisc-ata e ‘ne vattuta
aza e vascia stà ‘ngujùtu
e dd”i ciucci cchjù caparbi
quanti cavuci ha ricùatu.

 

 

 

Se spesàva dd”u martiallu
cuntentàva llu guagliune
chi currìvu le dicia...:
“Mastru Cì.. m’ ‘u ‘ha’u sugliune?”

‘Hatigàva’ Mastru Ciccu
‘ntr’ ‘a ‘su grupu de licerta
ccù ‘nu core tantu grande
ccù’na manu tantu sperta.

E passàru ‘ntantu l’anni
‘i discipuvi crisciuti
hau’ vassatu a Mastru Cìccu
ppè llu mundu ‘su partiti.

E cantava’ llu cardillu
e trasìa’ llu penciatùru
‘e cariòve a ciantu a ciantu
chi murianu ‘n’cap”u muru.

 Tantu tiampu speranzùsu
‘nu campare assai disiàtu
mò c’’u tiampu è boncurusu
d’a vacchii è cunzumatu.

‘Ne putiga scura scura
de hilìjine pittàta
ppè ‘ne vita picinùsa
primu e dopu sempre ‘ngrata.

‘Umartiallu ha’ piarsu ‘u ‘ntinnu
e ha ‘ncutine ‘u cantare
e llu mantice... ‘mbecchiàtu...
s’è stancatu ‘e manticiàre.

 

  • CON il PENSIERO alla TERRA MIA

             (poesia del laghitano Saverio Palermo)

 

 

“Monte Cocuzzo, sbattuto dal vento
bianco d’inverno con gli irti sentieri
non passa un giorno, non c’è momento
che non rivivi nei miei pensieri.

Ricordo ancora l’aria marina
il maestrale ed i rossi tramonti
con le casette sulla collina
della ‘difisa’ i valichi e i monti.

Il fiume “monache” pieno di gloria
con massi e ruscelli fa labirinto
torrente Pizzotto grida vittoria
con la Pavanella il fiume ha dipinto.

Lago è il paese dove son nato
culla di sogni e giuochi innocenti
lo vedo sempre tra il verde adagiato
con le colline attorno ridenti.

Non muoion mai col tempo che vola
i bei ricordi e penso che c’era
una contrada con piccola scuola
dove ho passato la mia primavera.

Col sole andavo al rustico prato
senza pensieri e lieto giocavo
con i compagni del vicinato
e più sereno a casa tornavo.

Una campagna dove correvo
e lavoravo sin da bambino
e da quel tempo già conoscevo
la lunga via del mio cammino.

Quante nuvole issate nel cielo
e qualcuna più in alto saliva
come il fiore che lascia lo stelo
con la tramontana presto svaniva.

 

  Chi sa, quei voli forse seguendo
lasciai il paese povero un giorno
forse sperando, forse piangendo
ma con il pensiero di farvi ritorno.

Molti giovani lasciaron la terra
combattendo in diversi fronti
tanti e tanti moriron in guerra
perdendo la vita nei nostri confronti.

Nella chiesa il loro battesimo
si levin preghiere per tanti eroi
dai parenti ed amici son ricordati
e dalle autorità con ogni onore.

Tante famiglie andaron lontano
per migliorar la loro vita
mai dimenticano la chiesa e le fontane
con la sorgente durante la gita.

Per quanto possa crescere il ramo
e riscaldarmi al sole felice
sentirò sempre il forte richiamo
della mia terra ov’è radice.

Ripenso a luoghi lontani e grandi città
ripenso però a Cocuzzzo mio
la pace, l’aria ed il verde che ha
mi riempie l’animo di nostalgia.

Nella mia terra prodiga e buona
dall’acqua limpida, dai cieli chiari
ritornerò quando l’ora mi suona
a riposarmi con i miei cari.”

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento:  01-09-10